Effetto Compton
Dopo la conferma sperimentale della validità dell’equazione relativa all’effetto fotoelettrico formulata da Einstein nel 1905 sulla base dell’ipotesi che la luce fosse costituita da quanti, conferma avvenuta nel 1916 ad opera di Millikan, ci vollero altri sette anni perché i fisici si convincessero della realtà dei fotoni.
Millikan aveva passato dieci anni della sua vita a sottoporre a controlli e verifiche l’equazione di Einstein e, nel 1915, fu costretto, secondo le sue parole, ad ammettere che essa era verificata con certezza “a dispetto della sua irragionevolezza, poiché sembrava violare tutto ciò che sapevamo sull’interferenza della luce”. Nella sua memoria del 1916 Millikan ancora scriveva “l’equazione di Einstein per l’effetto fotoelettrico (…) appare in ogni caso capace di prevedere esattamente i risultati delle osservazioni (…) Tuttavia la teoria semi corpuscolare tramite la quale Einstein è pervenuto alla sua equazione sembra, allo stato attuale, del tutto insostenibile”[1].
Nel 1922 Arthur Compton e, indipendentemente da lui, Peter Debye, studiando la diffusione dei raggi X, si accorsero che quel che succedeva poteva essere spiegato solo ipotizzando che la radiazione X fosse formata da particelle, i fotoni appunto[2]. Questa scoperta “fece sensazione tra i fisici dell’epoca” e l’idea del fotone fu accettata in breve tempo. Restava l’opposizione di Bohr, ma nel 1925, con la pubblicazione di ulteriori risultati sperimentali di Compton, Bohr si arrese dicendo: “Tributiamo ai nostri sforzi rivoluzionari il funerale più onorevole possibile”[3].
Quest’anno dunque vale la pena celebrare il centenario dell’esperimento di Compton e descrivere come arrivò ai risultati che pubblicò l’anno successivo, nel 1923.
Arthur Compton[4] nacque a Hooster (Ohio) il 10 settembre 1892. Studiò fisica alla Princenton University e, fin dalla sua tesi di dottorato, si occupò di raggi X, utilizzandoli come mezzo per lo studio della distribuzione degli atomi nei cristalli. Dopo alcune esperienze lavorative, nel 1919 ottenne una borsa di studio del National Research Council e si recò a Cambridge al Cavendish Laboratory. Qui confermò studi precedenti suoi e di altri che mostravano strane variazioni della lunghezza d’onda dei raggi X in funzione dell’angolo di diffusione.
Nel 1920 ebbe una cattedra come Professore di fisica e Direttore del Dipartimento di fisica alla Washington University di St. Louis dove determinò definitivamente la variazione della lunghezza d’onda dei raggi X in funzione dell’angolo di diffusione, quello che ora è chiamato “effetto Compton”.
Nel 1922, dopo vari tentativi di interpretazione del fenomeno in modo classico, riuscì a spiegarlo usando la meccanica quantistica e la relatività e presentò i suoi risultati al convegno dell’American Physical Society suscitando interesse, ma anche una forte opposizione. I suoi risultati furono poi confermati da C.T.R. Wilson, usando la camera a nebbia, e da Compton e A. W. Simon col metodo delle coincidenze e indipendentemente in Germania da Rothe e Geiger.
Per questo gli fu assegnato il Premio Nobel del 1927 insieme a Charles T.R. Wilson (per lo sviluppo della camera a nebbia).
Vanno sotto il nome di effetto Compton[5] alcuni eventi che si verificano nella diffusione dei raggi X, specialmente in sostanze di basso peso atomico.
Una sostanza colpita da un fascio di raggi X, diventa a sua volta centro di emissione di altri raggi X, detti raggi secondari. Questi si distinguono in due tipi: una parte ha le frequenze caratteristiche della sostanza diffondente, l'altra invece ha approssimativamente la frequenza dei raggi X primari.
È a questi, detti raggi diffusi, che si riferisce l'effetto Compton [6].
Secondo la teoria elettromagnetica classica quando un raggio di luce colpisce gli elettroni contenuti in un corpo diffondente (come un sottile foglio metallico), questi, sotto l'azione del campo elettrico alternato della radiazione primaria, eseguono oscillazioni forzate con frequenza eguale a quella della radiazione stessa. In conseguenza di questo moto vibratorio gli elettroni diventeranno a loro volta centri di emissione di onde elettromagnetiche, aventi la stessa frequenza del moto vibratorio degli elettroni e quindi anche della luce primaria. Secondo questa teoria, dunque, le frequenze della radiazione primaria e della radiazione diffusa dovrebbero coincidere esattamente.
Compton osservò invece che esiste una lieve differenza tra le frequenze delle radiazioni primaria e diffusa, e che tale differenza dipende dall'angolo formato tra le due direzioni, essendo nulla per radiazioni diffuse nella direzione della radiazione primaria, e massima per la diffusione in senso opposto. In particolare, Compton trovò che i raggi X secondari hanno una lunghezza d’onda maggiore dei raggi primari che li producono, e quindi una energia minore. Compton pensò che, se, come previsto da Einstein, la luce fosse formata di fotoni aventi quantità di moto, allora, nell’urto tra un fotone e un elettrone dovrebbe valere la legge di conservazione della quantità di moto e il fotone dovrebbe cedere all’elettrone parte della sua energia. Di conseguenza il fotone diffuso avrà una lunghezza d’onda maggiore.
Gli esperimenti estremamente raffinati eseguiti da Compton prima e da altri poi confermarono tale previsione. Da allora in poi ci si convinse che i fotoni si comportano come particelle che possiedono, oltre all’energia, una quantità di moto ben definita, pari a hn/c e che in un urto tra un fotone e un elettrone valgono le leggi di conservazione dell’energia e della quantità di moto [vedi figura[7]].
Oltre che di diffusione dei raggi X, Compton, negli anni Trenta, si interessò di raggi cosmici guidando una ricerca, su scala mondiale, relativa alla variazione di intensità dei raggi cosmici con la latitudine, legandola alle variazioni del campo geomagnetico e iniziando così gli studi dell’interazione del campo magnetico terrestre con i raggi cosmici primari.
Dal 1923 al 1945 Compton fu professore di fisica all’Università di Chicago. Nel 1941 fu nominato Presidente del Comitato dell'Accademia Nazionale delle Scienze per valutare l'uso dell'energia atomica in guerra. Le sue indagini, condotte in collaborazione con E. Fermi, L. Szilard, E.P. Wigner e altri, hanno portato alla creazione dei primi reattori a fissione controllata dell'uranio. Fu determinante, con il fisico Ernest O. Lawrence, nell'avvio del Progetto Manhattan, che creò la prima bomba atomica.
Incontro al Radiation Laboratory presso l'Università della California, Berkeley (UCB), nel marzo 1940 per discutere del ciclotrone da 184 pollici. Da sinistra a destra: Ernest O. Lawrence, Arthur H. Compton, Vannevar Bush, James B. Conant, Karl T. Compton e Alfred Loomis.
La foto è tratta da
https://www.atomicarchive.com/history/manhattan-project/p2s10.html pag.19
[1] https://www.lfns.it/STORIA/index.php/it/evento-dell-anno/2016
[2] Sulla evoluzione del concetto di fotone vedi. W. E. Lamb, Jr, Anti-photon, 1994 e
[3] Da Pais, Sottile ... pag. 440
[4] https://www.aif.it/fisico/biografia-arthur-holly-compton/
[5] https://www.treccani.it/enciclopedia/arthur-holly-compton_%28Enciclopedia-Italiana%29/
[6] https://www.nobelprize.org/uploads/2018/06/compton-lecture.pdf
[7] La figura è tratta da E. Amaldi, G. Amaldi, La Fisica per i licei scientifici, vol. 3, Zanichelli, Bologna, 1973